Riportami là dove mi sono perso

La seconda produzione delle Officine Gorilla si presenta come una prosecuzione ideale, nei temi di fondo, del precedente spettacolo “Love Date”.

Emma e Theo vivono la loro relazione, fondata su sentimenti profondi, in forte contrasto con il mondo che li circonda, una realtà esterna fatta di delusioni e di sconfitte, proiettati verso un futuro incerto, familiare e professionale. Forse sarebbero perfetti in una società altra ma quella in cui vivono è liquida e richiede ai protagonisti – e di conseguenza ai giovani come loro – continui adattamenti, continue rinunce e questo paradossalmente porta all’immobilismo e alla precarietà.

“La paura di annegare è talmente grande che uno nemmeno ci va più al mare.”

Questa è la generazione dei trentenni, di cui è già stata decretata la sconfitta, in cui le difficoltà dei rapporti sono tali da suscitare il desiderio di tornare indietro, tornare là, dove tutto sì è guastato, interrotto, perduto. Forse sotto un mucchio di oggetti vecchi, accumulati nel tempo e che bisogna gettare via.

Il mondo esterno attraversa le mura di casa con telefonate che generano invidia, frustrazione e spot pubblicitari che inneggiano a bisogni sempre più ingombranti, distruggendo l’equilibrio della coppia. Quando l’amore non basta e non si parla più solo di amore, in un mondo in cui bisogna parlare di pancia e pensare con la pancia, l’individualismo diviene estremo. Theo e Emma cercano rifugio in qualcosa che nemmeno loro sanno cosa o dove sia.

Indietro non si torna, ma da qualche parte dovranno pur (ri)comincare.